Journal de Welingprogress2

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29 avril 2024

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28 avril 2024

le mie note de "IL NARCISISMO DEL YOU" (purtroppo sono stata nuovamente breve):
"Se è vero che l’uomo crea le strutture sociali per la necessità di organizzare la dimensione interpersonale del complesso rapporto con l’Altro, successivamente, tuttavia, sono le stesse strutture sociali a modificare, per lo più in forma subliminale, la posizione del soggetto fino a sostituirsi a essa.

La Teoria Interpersonale ha messo al centro dell’indagine clinica lo stretto collegamento tra clima sociale e sviluppo psicologico, con un’idea di psicopatologia che si origina e si sviluppa nel campo delle relazioni interpersonali: non più, quindi, una visione intrapsichica dell’individuo, bensì la sua inseparabilità dal rapporto con l’ambiente socio-relazionale.
Dunque, personalità e Sé non come entità appartenenti esclusivamente al “dentro” dell’individuo, quanto piuttosto come qualcosa che nasce, emerge e si sviluppa nell’interazione con gli altri e attraverso le mutazioni degli schemi di organizzazione sociale.

Se non partiamo dal postulato che la tecnologia digitale cambia la mente così come è avvenuto nel passaggio dall’oralità alla scrittura (Ong, 1982), cadiamo in ciò che il sociologo McLuhan (1964) definiva l’“opaca posizione dell’idiota tecnologico”: ossia di colui che pensa che ciò che conta sia solo la modalità d’uso che si fa di un mezzo di comunicazione

La tecnologia digitale compie, di fatto, un “ricablaggio” delle nostre reti neurali, iperstimolando alcune funzioni a scapito di altre e riorganizzando i modelli di interazione fra persone.

In effetti, le social skills sono una delle componenti più influenzate dal macro-mutamento prodotto dai social network, al punto che alcune delle manifestazioni patologiche “digitalizzate” non vengono avvertite come tali, in quanto mimetizzate nel sentimento di normalizzazione comune: “Così fan tutti…”.

Un altro fenomeno da tenere in considerazione, come conseguenza, è la direzione univoca dell’algoritmo verso l’utente che fornisce a quest’ultimo un’illusione di relazionalità e persino di affettività altamente personalizzata: “Questa offerta è pensata solo per te!”. Ancor di più, il codice digitale produce una realtà propria dove i segni sono cose. Nell’esperienza clinica, ciò che più si avvicina a questa dimensione di un linguaggio “cosificato” e, nello stesso tempo, esclusivo per l’utente è il pensiero operatorio e la realtà del delirio paranoico,

Digitale è la globalizzazione; è il modo in cui si pensa oggi come fare la spesa; in cui cerchiamo supporti identitari e conferme narcisistiche; in cui si organizza la mente delle nuove generazioni; in cui oggi si pensano le relazioni, la comunicazione, la sessualità, l’affettività ecc. È la lingua fondamentale dell’algoritmo da cui siamo parlati.

Dal 2020, una persona ha in media più conversazioni con i “bot” (abbreviazione di robot) che con il proprio partner. – Un matrimonio su tre inizia online (Rosenfeld & Thomas, 2012), mentre un divorzio su sette è dovuto a Facebook. – Una persona su tre preferirebbe rinunciare al sesso piuttosto che allo smartphone.

A partire dalla topobiologia di Edelman (1987, 1991), secondo cui le modalità attraverso le quali i neuroni si strutturano e funzionano “per gruppi” sono sempre epigenetiche e mai per istruzioni provenienti esclusivamente dal genoma, non possiamo più pensare a un individuo separato dal suo ambiente.

Viene prima il bios o la cultura come sistema di condizionamento e orientamento comportamentale? Le culture del parto e del caring hanno modificato paradigmi comportamentali primari, quali l’allattamento, lo svezzamento, i tempi e i modi dei primi contatti ecc. Le condizioni che accompagnano la gravidanza e il parto modellano la nostra esistenza. In particolare, la cultura della nascita è il modo in cui una società forma l’inizio della vita e le condizioni che crea per essa. Viceversa, anche i cambiamenti nella struttura dei diversi tipi di famiglia, di coppia, di maternità, di procreazione assistita e tecnologica non possono non influenzare il piano biologico.

Entrando poi nella casa del neonato, al posto delle balie e delle nonne accudenti troviamo la domotica, la culla a motore che dondola e vibra, con l’IPad già installato al posto del classico carillon con le apine. E il neonato? Già gettato nei social network da decine di foto e video fin dalle prime ecografie prenatali, i cui like della community fungono da vero e proprio battesimo virtuale, definendone precocemente le linee identitarie.

Nella cultura occidentale cristiana, il battesimo ha rappresentato per secoli la nascita in chiave spirituale: non bastava essere partoriti nel mondo umano, bensì occorreva una seconda nascita simbolica per essere riconosciuto socialmente. Il battesimo, infatti, era il punto d’ingresso e di accoglienza nella vita comunitaria: genitori e padrini, giurando pubblicamente per il battezzando di “rinunciare a Satana”, sancivano una presa di responsabilità, piena di buone intenzioni per la collettività. Questa ritualizzazione per secoli ha simbolizzato nei confronti della comunità una garanzia di mediazione e di tenuta sociale fra il mondo interno della famiglia e quello esterno del gruppo sociale. Oggi tutto questo viene eclissato da automatismi e presenze digitali che funzionano da caregiver ed enfatizzano primariamente il social a scapito della consistenza e della presenza di una condivisione dell’umano.

La nostra epoca non è più postmoderna, né ipermoderna; non è più l’estremizzazione evolutiva di una radice storica che concepisce come “moderno” l’avvento della macchina della rivoluzione industriale al servizio dell’uomo. Ormai siamo già oltre! Siamo entrati in una dimensione nuova e irreversibile: quella digitale, in cui l’uomo è al servizio della macchina.

L’informazione e la sua diffusione determinano in maniera decisiva, attraverso algoritmi e Intelligenza Artificiale, i processi sociali, economici e politici. Diversamente dal regime disciplinare, a essere sfruttati non sono corpi ed energie ma informazioni e dati […] che vengono utilizzati ai fini della sorveglianza psico-politica, del controllo e della previsione dei comportamenti. Il regime dell’informazione si accompagna al capitalismo dell’informazione, che evolve in capitalismo della sorveglianza e declassa gli esseri umani a bestie da dati e consumo.

E tu? Ti senti pensato dagli algoritmi di Google? La risposta “no!” potrebbe essere dovuta proprio all’effetto incantatorio di un sistema totalmente eteroregolato e dal potere invisibile di cui non ti sei ancora accorto.

“Nell’era degli Organismi Geneticamente Modificati (OGM) che, ormai fuori controllo, imbandiscono le nostre tavole, anche l’adolescente muta la sua struttura divenendo un Adolescente Digitalmente Modificato (ADM)”

La mancata consapevolezza delle conseguenze delle influenze ambientali sul nostro sistema mente-corpo vale anche per il digitale: siamo talmente immersi nell’infosfera da “non sentirne” gli effetti che ci stanno cambiando impercettibilmente dall’interno. Si parla ormai di quarta rivoluzione concettuale (Floridi, 2017, 2020), dopo quella di Copernico, Darwin e Freud.
Il Web non dà la misura della trasgressività e del pericolo, proprio in quanto i fenomeni di esibizionismo sono altamente sollecitati nei social e spesso incentivati.

La Rete, infatti, si propone oggi come un caregiver onnipotente e onnipresente in grado di accogliere e stemperare l’impatto con i grandi e piccoli traumi della vita quotidiana, attraverso dosi massive di distrazione e dopamina, sempre disponibili al bisogno.

Il Web, dunque, spingendo i suoi utenti a concepirsi si pone come spazio di assorbimento del malessere, alternativo a quello familiare e, più in generale, affettivo e relazionale: sempre di più, tutto confluisce e si smaltisce nel mondo digitale.

Diversamente, il Web come macchina digitale non solo sfugge al controllo dell’uomo, ma non governa nemmeno se stesso.

Non è in grado di indicizzare il flusso completo dei dati immessi nel Web. Questo sistema che sfugge anche a se stesso rappresenta la condizione di sudditanza e precarietà nella quale siamo tutti immersi. Tale condizione entropica digitale si contrappone alla mente neghentropica dell’essere umano. Questo senso di asservimento e precarietà è uno dei punti più delicati rispetto alle considerazioni che stiamo proponendo, poiché produce ripercussioni sociali e, di conseguenza, ricadute cliniche fino a trasformazioni epigenetiche, non ancora facilmente riconoscibili nella loro portata evolutiva.

Questi ambiti di esperienza reale “modificata” dal digitale perdono progressivamente i propri confini e le proprie specificità, proprio come avviene in un processo di globalizzazione. Anche l’identità si trasforma per effetto di questa compenetrazione,[…] sono sempre più in difficoltà a riconoscere l’autorità: non solo quella dei genitori, ma quella in generale dell’adulto, in tutti i campi in cui quest’ultimo si trova posizionato in un’asse di verticalità che ne definisce l’autorevolezza. Questa difficoltà di riconoscimento non è il frutto di un’opposizione (“Non ti riconosco perché non condivido quanto sostieni”), bensì l’effetto di un vuoto di simbolizzazione [… il ]suo pensiero mette bene a fuoco un processo dove l’impoverimento della funzione familiare è determinato da una desertificazione del simbolico. Il venir meno dei riferimenti simbolici lascia il singolo individuo ad affrontare da solo il peso della vita.


La società dei media è, per Lasch, quella dell’ideologia pervasiva degli “impegni non vincolanti e dei rapporti indefiniti” (Lasch, 1977; tr. it. 2019, p. 180) senza punti di repere come illusione di “libertà di scelta”: “La dissoluzione dell’autorità procura non la libertà ma nuove forme di dominio”

Il processo in atto è un’esasperazione di ciò che Lasch aveva già indicato alle radici della rivoluzione industriale: “Anziché liberare l’individuo dalla coercizione esterna, la decadenza familiare lo assoggetta a nuove forme di dominio minandone contemporaneamente la capacità di opporvisi”

Più in generale, la perdita del senso di comunità reale introduce una sfiducia universale nei confronti dell’Altro, talvolta non riconoscendone nemmeno le competenze. Un Altro che, dunque, non solo non protegge più, ma dal quale occorre proteggersi.

Oggi, in uno scenario di legami sociali completamente mutato, è lo smartphone che rassicura illusoriamente il genitore fisicamente distante e non più il senso d’appartenenza a una comunità.

Beck illustra […]Quando parlo di “società del rischio” è in quest’ultimo senso, ovvero quello delle incertezze fabbricate. Queste “vere” incertezze, imposte dalle rapide innovazioni tecnologiche e dalle reazioni sociali accelerate, stanno creando un paesaggio del rischio globale fondamentalmente nuovo. In tutte queste nuove tecnologie dal rischio incerto, noi siamo separati dal possibile e dagli effetti da un oceano di non sapere.

Si delinea così una mutazione nell’essenza della percezione del rischio che è ormai l’orizzonte globale dentro il quale, come individui e come organizzazioni sociali, ci muoviamo e ci orientiamo.

Nell’immigrato digitale s’incontrano, tuttavia, due approcci differenti: a. un senso di estraniamento e rifiuto; b. uno slancio con comportamenti regressivi che scimmiottano quelli delle nuove generazioni.
Ecco la denuncia di un giovane paziente: “Dottore, mia madre non la riconosco più da quando ha fatto il profilo Instagram. È sempre al telefono e continua a postare video con le amiche che fanno le ragazzine. Ma la cosa che mi dà più fastidio è che mi chiede di metterle i like e si offende se non lo faccio”.

L’adulto si è trasformato in adultescent, cioè un individuo contaminato dalle logiche dei social e delle app, intrappolato, più dei giovani stessi, in un uso superficiale e deteriore del Web che ripristina l’illusoria possibilità di un ritorno all’adolescenza ricostruita su aspetti esclusivamente ludici e consumistici.

Questo fenomeno ha delle ricadute fondamentali sul concetto d’identità, di gerarchia e di organizzazione simbolica, in quanto ribalta i ruoli dell’organizzazione sociale e mette in forte tensione il tema dei diritti ex lege. Per esempio, piattaforme come Change.org o Avaaz ripropongono l’idea di poter costruire la legge dal basso, attraverso petizioni e raccolta di firme per salvaguardare i diritti della collettività. Tali piattaforme rappresentano la dimensione di un governo digitale di massima partecipazione popolare che sembra porsi in alternativa a quella giuridica ufficiale. Tutto ciò si inscrive perfettamente nella crisi di fiducia verso le organizzazioni partitiche nazionali e internazionali che hanno visto negli anni una drastica diminuzione della partecipazione al voto, soprattutto fra i giovani. Questa possibilità di far valere la propria appartenenza alla Rete, anziché alle istituzioni dello Stato, indica un processo di annullamento della verticalità e crea una realtà sociale a matrice esclusivamente orizzontale.

Di questo fenomeno ci parla il filosofo Han […] La comunicazione digitale provoca un’inversione del flusso delle informazioni, che ha effetti distruttivi sul processo democratico. Le informazioni si diffondono senza passare dallo spazio pubblico. Esse vengono prodotte in spazi privati e inviate a spazi privati. Così la Rete non costituisce una sfera pubblica. I social media rafforzano questa comunicazione senza comunità. Nessuna sfera politica pubblica è costruita a partire da influencer e follower. Le communities digitali sono una forma-merce della comunità; esse sono, in realtà, delle merci.

Erich Fromm aveva radicalizzato l’idea che la trasformazione sociale del capitalismo avesse ridotto l’uomo a una fondamentale solitudine e al senso d’impotenza, da cui poteva sfuggire solamente attraverso il rifugio nell’autoritarismo, oppure nell’altra faccia più edulcorata della stessa medaglia: il “conformismo coatto”
È illuminante come Fromm avesse letto la progressiva perdita di significato della coscienza di sé in rapporto direttamente proporzionale al crescente anonimato dell’autorità. Questa proporzione diretta fra diminutio della coscienza e anonimato dell’autorità si esprime icasticamente con un’inaspettata anticipazione, da parte di Fromm, di tutto il senso filosofico di ciò che approfondiremo nel capitolo successivo sotto l’etichetta di Gamification: “L’uomo moderno vive nell’illusione di sapere ciò che vuole, mentre in realtà vuole quel che ci si aspetta che voglia”

Paragona un software designer a un prestigiatore. Cosa fanno i prestigiatori software designer? “Danno alle persone l’illusione della libera scelta mentre progettano il menù [per esempio, di una pagina Web] in modo che vincano, qualunque cosa tu scelga”. E aggiunge: “Non posso sottolineare abbastanza quanto sia profonda questa intuizione”. Benvenuti nel mondo occulto della Gamification!

Per dirla con Pasolini, ha determinato una “mutazione antropologica”, mantenendoci nell’illusione che nulla sia veramente cambiato.

Esisterebbe il ritiro sociale senza il Web? Ovvero senza la gratificazione compensatoria dello spazio virtuale?

Il crollo dell’ideologia sessantottina infrange definitivamente l’utopia di una collettività al potere e il mondo occidentale precipita in una condizione di disillusione globale che, a partire dagli anni Settanta, accresce esponenzialmente un senso di precarietà e di atomismo sociale. Il fallimento politico del liberismo, il crollo del senso storico, l’impotenza delle scienze umanistiche e il dominio della burocrazia hanno determinato il passaggio dall’homo oeconomicus, su cui si è spesa molta critica marxista, all’homo psychologicus, alias il nuovo narcisista, “il prodotto finale dell’individualismo borghese”

“Nuove forme sociali richiedono nuove forme di personalità, nuovi modi di socializzazione, nuovi sistemi di organizzazione dell’esperienza”

Il narcisista di Lasch, dunque, non coincide con il disturbo narcisistico di personalità,
Il nuovo narcisista è perseguitato dall’ansia e non dalla colpa. Non cerca di imporre agli altri le proprie certezze, ma vuole trovare un senso alla sua vita. Libero dalle superstizioni del passato, mette in dubbio persino la realtà della sua stessa esistenza.

Questo nuovo individuo è sganciato dalla storia, non si confronta con un prima e un dopo di sé, non appartiene più alla polis né tantomeno alla famiglia e alla genealogia, almeno come coscienza di una traiettoria storica da cui si deriva e si dipende. L’Io minimo è il frutto di un narcisismo indebolito e carente, claudicante, che mostra individui senza personalità e senza carattere.

Inconsapevolmente, dunque, “quando una persona accende il cellulare, diventa parte di un assemblaggio cognitivo non conscio che include ripetitori e infrastrutture di rete, interruttori, cavi in fibra ottica e/o router wireless e altre componenti”.

Quando il narcisista del You sta male, l’elemento di sofferenza è determinato da una ego-distonia dell’Io individuale rispetto al You della macchina. Qualcosa fa buco, fa sentire uno scarto sotto forma di ansia generalizzata che spesso è giocata nella richiesta di poter suturare la momentanea diastasi dell’adesione totale all’Altro digitale. Il narcisista del You chiede di guarire per tornare a aderire al compito dell’algoritmo.

Vi sono ancora adulti digital immigrant che presumono di potersi sottrarre ai processi di Gamification solo perché non sono prosumer o blogger, e quindi non prendono una posizione attiva nell’influencing, nel chatting o nel costruire profili, veri o falsi che siano. Non accettano che, per mantenersi incontaminati, non dovrebbero più usare lo smartphone, ma nemmeno PowerPoint; non comprare su Amazon, non utilizzare lo SPID, non navigare in Rete, non pagare con Satispay, non parlare con Alexa o Siri, non utilizzare la app per inserire o disinserire l’allarme ogni volta che entrano o escono da casa, non guidare auto che utilizzano Car play ecc. Di fatto, non vivere! È tutto questo, infatti, che alimenta i Big Data, il vero nutrimento dell’algoritmo.

“Gli effetti della tecnologia non si verificano infatti al livello delle opinioni o dei concetti, ma alterano costantemente e senza incontrare resistenza, le reazioni sensoriali o le forme di percezione” (McLuhan, 1964; tr. it. 2008, p. 39). Le attività stimolate sono riflesse e non riflessive. Nel codice digitale siamo presi nel flusso, avviati e condotti da una fonte eterodiretta che non promuove processi di ascolto interno e di autoregolazione corporea (Scognamiglio & Russo, 2018).

l’intelligenza digitale è di tipo simultaneo: nell’istante temporale gli stimoli visivi, uditivi, tattili si presentano contemporaneamente senza poterli ricondurre a un ordine (Simone, 2012). Questo carattere di simultaneità non è riscontrabile nelle pratiche di scrittura e lettura che, al contrario, fanno affidamento su un’intelligenza di tipo sequenziale. Infatti, due messaggi linguistici (suoni o segni) non possono occupare la stessa posizione nel processo di decodifica poiché non sono sovrapponibili. La comunicazione del medium digitale, quindi, ci espone a un linguaggio percettivo che è più povero di significato, in quanto immediato e puntuale, rispetto al linguaggio concettuale.

L’empatia non è una competenza ereditata, ma è in parte appresa: la lettura gioca un ruolo importante nel suo sviluppo in quanto, per poterne godere, siamo obbligati a essere tutti i personaggi del racconto e a simularne attivamente la coscienza (Koopman & Hakemulder, 2015). Anche la scrittura è un potente strumento di stimolazione cerebrale. In particolare, la scrittura in corsivo crea un “concerto” fra aree del cervello che non si ottiene con la scrittura digitale.

A differenza del codice digitale, per leggere profondamente e scrivere facciamo uso del codice analogico che si fonda su un principio di linearità sequenziale, di un tempo, di una rappresentazione sensomotoria e che necessita di essere interpretato e mediato da processi di natura metacognitive.

Tutte requisiti alla base del pensiero critico: “la valutazione critica funziona quando lo scambio di segni è abbastanza lento da poter essere analizzato in modo sequenziale, cioè quando il ricevente ha tempo per una distinzione del vero dal falso: la critica”
I due codici, infatti, afferiscono prevalentemente a moduli e circuiti neurologici differenti:
il codice digitale stimola maggiormente moduli subcorticali e reticolari, cioè aree deputate alla reattività fisiologica ed emozionale; – il codice analogico attiva moduli corticali superiori, come per esempio la corteccia prefrontale, deputata al giudizio, alla previsione del comportamento e al ragionamento.
Chi è fortemente digitalizzato, e si trova davanti al miraggio di un mondo con infinite possibilità vincenti, non è in grado di recuperare lo spazio mentale per poter articolare o declinare i livelli di complessità e gerarchizzazione che hanno sempre contraddistinto la vita offline.
L’e-democracy produce una cultura di massa così ipersemplificata da non educare alle differenze fra un articolo di fondo di un opinionista di alto livello e lo sfogo di un anonimo internauta;

Il problema non riguarda solo le tecnologie digitali, ma la loro commistione con un panorama sociale torbido che non promette un futuro rassicurante. Il turbocapitalismo sta da tempo compiendo una sistematica distruzione del bios, privando l’umanità di due elementi fondamentali, l’acqua e l’ossigeno. Contemporaneamente, almeno nel vecchio Occidente, ci si confronta con un calo demografico che, nel caso dell’Italia, porterà nel 2050 il rapporto tra individui in età lavorativa e non a circa 1 a 13. La risposta politica al calo demografico già la conosciamo: attingere, per compensare, ai flussi migratori dal Sud del mondo, considerato “il giardino dell’infanzia”. Siamo precipitati in quella che viene definita una “timeline sbagliata”, dove l’attualità sociale e politica si mostra sempre più irreale e incomprensibile (Salvia, 2022) e dove il passato non è più un punto di riferimento a cui far ritorno".


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